giovedì 11 dicembre 2008

Contratto unico per tutti: si può fare?

Un nuovo contratto per tutti (Tito Boeri e Pietro Garibaldi, Chiarelettere editore, Torino, 2008) si muove lungo i canali del mercato del lavoro e dello stato sociale italiano, seguendo l’obiettivo, proposto in termini semplici e efficaci, dell’introduzione di un contratto unico per tutti i lavoratori.
Gli autori criticano punto per punto i provvedimenti posti in questo campo dai governi degli ultimi anni, nonostante la disoccupazione sia diminuita, tra il 1998 ad oggi, dall’11% al 6%: il discusso impatto della Legge Biagi, la propagandistica detassazione degli straordinari[1], le proposte di federalismo fiscale, gli interventi di dubbia efficacia per il Sud, i lavori socialmente utili e Il Libro verde del Ministro Sacconi.
Il sistema attuale delle tutele per i disoccupati è fortemente iniquo nei confronti di lavoratori con identiche mansioni ma soggetti a diverse tipologie contrattuali, complesso nell’erogazione e inadeguato alla crescita dell’occupazione: è sotto gli occhi di tutti la divaricazione dualistica tra chi è dentro un quadro di tutele regolari e stabili, cioè i lavoratori con contratto “a tempo indeterminato”, e i lavoratori atipici non protetti dal nostro sistema di welfare.
La tesi di fondo del libro rispetto ai problemi del mercato del lavoro italiano va presa sul serio, nonostante possa sembrare una provocazione intellettuale di difficile collocazione all’interno dell’agone politico attuale: essa consiste nella proposta di un contratto unico senza scadenza per tutti i lavoratori e con tutele gradualmente crescenti. Si rivolge principalmente ai giovani lavoratori, alle donne e ai disoccupati di ogni età, per facilitare la loro entrata nel mercato del lavoro, ma conferendogli anche maggiore tutela rispetto alla condizione presente. La loro situazione è oggi particolarmente complessa: un giovane lavoratore, se entra nel mercato del lavoro, lo fa a 1.100 euro al mese, 100 euro in meno rispetto alla fine degli ’90.
I lavoratori “atipici” sono circa 4 milioni e mezzo in Italia, poco meno del 20% degli occupati: se il passaggio oggi da un contratto, per esempio, a tempo determinato ad un altro non è frutto di una scelta, ma è l’obbligo imposto da un mercato del lavoro iniquo e macchinoso, allora la situazione è risolvibile solo con una riforma di lungo periodo che ricomprende l’introduzione del contratto unico.
Il “disordine atipico” dei contratti presenti oggi è solo il sintomo, non la causa, di un sistema che non può più funzionare; o meglio, funziona solo per coloro che dagli squilibri economici non verranno mai toccati. Il resto, che è sinonimo di peso e difficoltà, è in mano a quella fetta di lavoratori che si trovano a vivere nella degenerazione della flessibilità: la precarietà. E’ il momento di pensare a come convertire questa proposta, e soprattutto i suoi obiettivi, da un agile pamphlet in un disegno di legge[2].


[1] http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/4444AC16-6AD5-4EC9-AB7F-B0D2D302E151/0/281108PACCHETTOANTICRISI.pdf
[2] Si veda, sempre degli autori, la seguente proposta: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000075.html

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