sabato 27 settembre 2008

Per uno Stato Sociale di Sostegno al Lavoro: Sussidio Universale di Disoccupazione

In Italia coesistono due peculiarità che insieme riducono la mobilità sociale del paese. La prima riguarda la nostra spesa sociale: per quanto si collochi leggermente al di sopra della media dei Paesi sviluppati (Paesi OCSE), risulta fortemente sbilanciata: 2/3 di questa spesa finisce in spesa pensionistica, mentre del rimanente terzo il 66% di spesa va alla sanità e solo 33% all’assistenza.[1] E’ come dire che meno di 1 euro su 9 della spesa sociale di questo paese finisce per sostenere la disoccupazione. La seconda peculiarità consiste nel fatto che gli italiani (come gli altri cittadini europei) dovrebbero, per usare l’espressione di Alesina e Giavazzi[2], rimettersi a lavorare. In realtà, osservando i dati OCSE del 2005, emerge un quadro più complesso dove gli italiani si dividono in due categorie: da una parte ci sono gli italiani che hanno un lavoro e lavorano in media più dei loro colleghi negli altri paesi (1801 ore di lavoro all’anno per un lavoratore dipendente italiano contro 1713 negli Stati Uniti, 1546 in Francia, 1437 in Germania, 1672 in Regno Unito e 1775 in Giappone); dall’altra ci sono gli italiani che non lavorano o non cercano un lavoro perché sfiduciati oppure semplicemente abbandonati da uno stato sociale che non gli assiste nelle difficoltà professionali o semplicemente nella crescita dei figli. Mentre meno di 6 italiani su 10 (nella popolazione in età attiva) hanno un lavoro, sono 7 su 10 in Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone.[3] In conclusione, in Italia, chi lavora, in media, lo fa troppo mentre troppi non lavorano.
Quale è stata la prima risposta del Governo Berlusconi a questo stato di fatto? La detassazione degli straordinari negli orari di lavoro (D.l. 27 maggio 2008, n.93). Un contributo diretto per la maggior parte a lavoratori maschi, impiegati nelle grandi imprese e nel Nord, che fatica a beneficiare coloro che vivono nel Sud e faticano a trovare un lavoro, le donne oberate dalla carenze dello stato sociale e una buona fetta dei giovani lavoratori atipici. Il costo di tale misura è stimato intorno ai 700 milioni di euro all’anno. Non si poteva fare qualcosa di più utile con questi soldi?
In un mercato dove chi lavora lavora troppo mentre troppi non lavorano, lo stato sociale deve fornire il sostegno e gli incentivi per cambiare. La principale risposta ai problemi italiani esiste già, è utilizzata nei principali paesi europei, negli stati scandinavi e negli Stati Uniti: è l’offerta di uno strumento universale e generale di sussidio al reddito, che richieda in cambio al cittadino solo l’impegno ad accettare una congrua offerta di lavoro o a partecipare ad un percorso formativo di riqualificazione professionale. Uno stato sociale che protegge contro la sfortuna, è uno stato sociale che incoraggia la fortuna. Per cambiare e cominciare a credere nel merito delle persone.

[1] Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, La vita buona nella società attiva. Libro Verde sul futuro del modello sociale, 25 luglio 2008, pag. 5
[2] Goodbye Europe. Cronache di un declino economico e politico, Rizzoli, Milano, 2006, pagg. 63-77
[3] Pg. 70, Key figures on Europe - 2007/08 edition, EUROSTAT

Nessun commento: